Psicologia e sport
- Introduzione
- Crescere nel corpo
- Stare dentro il gruppo/squadra
- Interagire con ruoli specifici
- Sottostare alle regole condivise
- Rispettare la gerarchia
- Imparare a vincere
- Imparare a perdere
- Contrapporsi all’avversario nel rispetto
- Raggiungere alti livelli di prestazione
- Ambiti dove lo sport e la psicologia possono validamente integrarsi
Introduzione
Lo sport rappresenta una dimensione importante per lo sviluppo armonico dell’individuo, soprattutto nell’età evolutiva.
Maristella Fantini, insieme alle colleghe Antonella Donatone e Barbara De Marchi (www.psicocittà.it) hanno approfondito alcuni aspetti psicologici legati allo sport nel Settore Giovanile per meglio accompagnare la crescita dei ragazzi.
Lo sport offre molte possibilità formative, perché contiene esperienze profonde: crescere nel corpo, stare dentro al gruppo/squadra, interagire rivestendo ruoli specifici, sottostare alle regole condivise, rispettare la gerarchia, imparare a vincere, imparare a perdere, contrapporsi all’avversario nel rispetto, raggiungere alti livelli di prestazione.
La psicologia può facilitare l’introiezione di convinzioni e messaggi positivi, maturati da tali esperienze.
Crescere nel corpo
La crescita corporea forgia la personalità futura. Il movimento e l’acquisizione di abilità fisiche diventa soprattutto nel più piccoli senso di capacità e sicurezza in se stesso. Ecco perché nell’età 6-10 anni lo sport è principalmente divertimento, movimento e scoperta. Sono da privilegiare le attività che coinvolgono tutto il fisico, ricche di svago e di energia libera. Gli adulti devono supportare il senso di gioia derivante dallo sport, senza voler reprimere la libertà del corpo e senza enfatizzare la riuscita agonistica. L’allenatore diventa una figura a valenza genitoriale, a cui guardare come guida e modello.
Il permesso psicologico che ne deriva è “Puoi esistere e muoverti pensando”
Stare dentro il gruppo/squadra
Lo sport, soprattutto quello a squadre, aiuta a relazionarsi fra pari. Il ragazzo si confronta, si esprime, interagisce nei momenti piacevoli o difficili con gli altri membri del gruppo, mettendo a prova le sue capacità comunicative. Solo così imparerà a diventare un adulto in grado di comunicare in contesti nuovi e complessi. Essendo la squadra un gruppo strutturato e ludico, il ragazzo imparerà che si possono unire le regole e il piacere, concetto essenziale per una buona tenuta di personalità.
Il gruppo è soprattutto importante nella prima età adolescenziale (11-15 anni) in quanto sorregge l’ identificazione con i coetanei e il bisogno fondamentale di amicizia. La cosa peggiore è sentirsi escluso, per il timore di perdere il consenso del gruppo, essenziale per sentirsi parte di un tutto, per sentirsi importante.
Il permesso psicologico che ne deriva è “Puoi avere valore”
Interagire con ruoli specifici
Nel gruppo sportivo ci sono tanti ruoli e ogni ragazzo sceglierà quello a lui più congeniale. Tale scelta aiuta a definirsi. Insegna che è bene potenziare i lati forti, per farne elementi cardine dell’autostima, e lasciare coesistere i lati deboli come componente indispensabile di umanità. Nell’età dei 16 -18 anni il gruppo continua a mantenere un ruolo fondamentale, come insieme di appartenenza, ma anche come luogo dove esprimere l’originalità propria. L’unione coi compagni è importante tanto quanto la propria individualità.
Anche nello sport ogni ruolo è utile e tutti i ruoli sono interagenti. Il modello del gioco può rappresentare la metafora di una buona società, dove ognuno porta il suo contributo originale senza prevaricare.
Il permesso psicologico che ne deriva è “Puoi appartenere”
Sottostare alle regole condivise
Lo sport si basa su regolamenti e norme a cui ogni sportivo deve aderire. Questo è fondamentale per aiutare il ragazzo a interiorizzare le regole, che costituiranno nell’età adulta il proprio Genitore Interno. Le regole poggiano su norme teoriche ma soprattutto sull’esempio degli adulti significativi e sulla pratica. Più gli adulti sono coerenti e concordi più le regole saranno accolte con facilità.
Le regole sportive sono immediatamente sperimentate come indispensabili al gioco e soprattutto vengono condivise dal gruppo dei pari. Questo aiuta a viverle bene, in quanto la regola viene associata ad elementi positivi e collettivi.
Il permesso psicologico che ne deriva è “Puoi crescere”.
Rispettare la gerarchia
Lo sport necessita di una buona gerarchia, fatta di allenatori, staff tecnici, responsabili della società, arbitri, medici ecc. I ragazzi imparano a riconoscere l’autorità, pena sanzioni. La gerarchia è utile per la buona riuscita, sia fuori dal campo che in campo. Questo induce maggiormente a rispettarla. Nella stessa squadra esiste un capitano, che fa da portavoce del gruppo e questo responsabilizza sia il capitano che il gruppo. I singoli attraverso lo sport affinano comportamenti di rispetto e sottomissione alla norma, fino a farne una modalità automatica di risposta. Se l’adulto significativo è autorevole la regola verrà accettata come propria e messa in pratica con maggior vantaggio.
Il permesso psicologico che ne deriva è “Puoi fidarti”
Imparare a vincere
Per vincere ci vuole determinazione, motivazione grinta, costanza, caparbietà e sacrificio. Tutte cose che il giovane atleta impara nell’entusiasmo della competizione. Vincere significa ottenere applausi e sentirsi forti, gioire insieme e far gioire il pubblico. Questo rinforza l’autostima, che a sua volta aiuta ad essere vincenti nello sport e nella vita. La gioia è indispensabile per guardare al futuro con fiducia e lo sport permette ai ragazzi di provarla, fortunatamente anche quando altri settori della vita ne sono avari. La vittoria sportiva ha poi alcune caratteristiche uniche: esalta tutti i giocatori, qualunque siano le loro caratteristiche di appartenenza, e nella gioia si rinsalda la solidarietà di squadra, utilissima nei momenti meno facili.
Il permesso psicologico che ne deriva è “Puoi godere”
Imparare a perdere
La sconfitta è un momento duro, perché porta frustrazione. Ma solo imparando a superare la frustrazione si può procedere nel cammino accidentato della competizione, che è simile alla vita.
L’ostacolo mete alla prova l’individuo, perché lo obbliga a provare umiltà, a rinsaldare i legami fra compagni sulla base dell’intesa autentica, a fare autocritica, a reperire nuove soluzioni utili, ad aumentare l’allenamento. Questa reazione positiva si raggiunge solo con il concorso di tutte le figure interessate, atleti e staff, in un clima pacato dove la voglia di procedere prevalga sulle recriminazioni. Il risultato negativo non deve comunque mai toccare la stima verso le persone, perché riguarda il fare e non l’essere.
Il permesso psicologico che ne deriva è “Puoi avere valore sempre”
Contrapporsi all’avversario nel rispetto
Lo sport agonistico insegna come affrontare le sfide e la competizione. L’altro diventa il metro di misura, in una continua ascesa verso i massimi livelli. Questa tensione è positiva quando assume le caratteristiche di forza e di grinta. Può essere negativa se diventa ansia di prestazione o aggressività. Il confine fra questi due versanti è fragile e di difficile demarcazione. Sta agli allenatori dare i giusti messaggi, in accordo con la famiglia e possibilmente con i mass media. La grinta mira al risultato senza scalfire gli attori del gioco, cioè mira alla propria vittoria. L’aggressività invece vuole scalfire gli avversari, cioè mira alla altrui sconfitta. Il gioco leale poggia su una buona gestione delle emozioni “ rabbia e paura” (rabbia del danno, paura dell’insuccesso) e deve inserirsi dentro una vera educazione ai sentimenti, con la consapevolezza che i sentimenti possono essere sentiti, riconosciuti e controllati prima di scegliere la risposta più soddisfacente.
Il permesso che ne deriva è “Puoi sentire le emozioni e continuare a pensare”
Raggiungere alti livelli di prestazione
Negli atleti più grandi la tensione verso il successo personale è molto alta. Dal risultato deriva il futuro e la possibilità di diventare professionisti. Il contesto famigliare inoltre spinge per arrivare alla meta e il giovane atleta è caricato di aspettative proprie ed altrui. Questo lo mette in una situazione emozionante ma difficile. Emozionante perché si aprono strade inaspettate con esperienze uniche. Difficile per il grande timore di non riuscire. C’è il rischio che l’insuccesso venga considerato in modo esagerato e si accompagni a cadute di motivazione o di umore. Perché questo non accada occorre che l’atleta venga sorretto in tutti gli aspetti della sua vita, professionali ed umani, che conosca bene se stesso, che abbia sufficienti fonti di sicurezza esterni allo sport, che sappia darsi la possibilità di cambiare strada se necessario, che abbia chiari i suoi limiti oltre che i suoi obiettivi.
Il permesso che ne deriva è “Puoi essere te stesso”.
Ambiti dove lo sport e la psicologia possono validamente integrarsi:
- Espressione di sé in una identità armonica: corpo e mente;
- La motivazione: cosa la sorregge, cosa la blocca;
- La riuscita: superare i propri conflitti per vincere;
- La comunicazione positiva: tra allenatori ed atleti, tra compagni del gruppo/squadra;
- La competizione: equilibrio tra accettare i propri limiti e volerli misurare per superarli.