Malessere giovanile

 

immagine bambini contesi

 

 

Si può parlare di malessere giovanile?

 

Malessere è una parola dal duplice significato: piccola indisposizione, ma anche inquietudine generale. Può colpire individui singoli o gruppi di persone legate da caratteristiche omogenee, come nel caso del malessere giovanile. Un certo malessere è normale in ogni età di passaggio, perché il raggiungimento di un nuovo equilibrio comporta fatica e adattamento. Ma se perdura troppo indica una difficoltà a crescere. Nel caso dei ragazzi alla soglia dell’età adulta il fenomeno dipende in gran parte da risposte sbagliate della società alle esigenze dell’infanzia e dell’adolescenza. Ne consegue una personalità a volte insicura e suggestionabile, bisognosa di appigli fusionali, pervasa da un senso di disperazione pronto a riacutizzarsi dopo eventi negativi. Si parla di malessere perché le conseguenze sono concrete e visibili. Un indice di tale fenomeno è l’aumento della depressione in età giovanile, che si esprime in modi quasi sempre mascherati, che possono trarre in inganno.

 

<< Torna su >>

 

Come si manifesta oggi il malessere giovanile?

 

Il malessere nei giovani è spesso più evidente che nel resto della popolazione, data la baldanza dell’età e la forte carica di energia vitale. A differenza di quanto accade per gli adulti, non si esprime tanto in calo dell’umore o di energia fisica, quanto piuttosto in comportamenti negativi che denotano una cattiva relazione con se stessi o con gli altri.

Il ragazzo può far del male a se stesso, esprimendo malumore, idee suicidarie, dipendenza da sostanze, autodistruzione, svalutazione di sé, blocco delle iniziative. (Molte patologie hanno questa origine, come i disturbi alimentari, che imprigionano le “fami” naturali e ricercano appagamenti fittizi autogestiti; o anche l’ immersione in mondi immaginati e ossessivi, dove il giovane si chiude in opposizione al modello degli adulti considerati estranei e colpevoli).

Altre volte è portato a fare del male agli altri con aggressività gratuita, violenza, estremismo, bullismo, vandalismi ecc. Spesso sceglie come oggetto di sopruso il più debole, per affermarsi facilmente o perché identifica in esso la propria parte fragile disprezzata.

In ogni caso esiste una carica aggressiva che viene rivolta contro se stesso o contro l’ambiente. La forza distruttiva è sempre legata a tensioni accumulate in modo estremo, compresse e misconosciute, unite ad un senso di impotenza e alla perdita di speranza.

 

<< Torna su >>

 

Il malessere giovanile è un fatto moderno?

 

Difficile rispondere. Un tempo i giovani erano molto esposti alle malattie endemiche ormai quasi del tutto debellate. Pertanto il malessere fisico era per loro più importante del malessere psicologico. Oggi sono esposti ad altri mali più sottili e non meno pericolosi: i disagi di identità, di appartenenza e di affermazione di sé. Tali mali poggiano su una situazione sociale che possiamo chiamare di appiattimento. In un mondo complicato e violento le possibilità di emergere si riducono per tutti. Le risorse economiche si concentrano e la gente ha sempre meno autonomia, dipendendo dai “potenti” che detengono il denaro ma soprattutto il controllo. I giovani per loro natura devono poter guardare al futuro. E devono essere consapevoli dei mezzi in loro possesso per costruirlo. Il potere di agire, di scegliere, di fare, di pensare, di inventare, di combattere le ingiustizie fa parte dello sviluppo; se viene ridotto e imbavagliato, in modo evidente o strisciante, mistificato dalle regole, addolcito da surrogati, spento dal pessimismo, la crescita rallenta. Viene detto ai giovani di diventare grandi, ma contemporaneamente glielo si vieta. Si toglie loro capacità contrattuale nella famiglia, nella scuola e nei contesti lavorativi . In questo senso il malessere giovanile si può considerare un male moderno perché i giovani, come i bambini, rappresentano una minoranza defraudata.

 

<< Torna su >>

 

Quali sono le cause del malessere?

 

Naturalmente le cause sono tante, spesso concatenate.

Fra tutte ne voglio sottolineare una, che mi sembra importante. Essa ha a che fare col tempo. Dice Binswanger, psichiatra esistenzialista: “Se l’ascesa non può giungere a un fine, si rovescia nello smarrimento e nella fissazione”. Cioè se l’alpinista smarrisce la strada, resta a mezza parete e non ha via di scampo. Ognuno di noi vive a suo modo il tempo. Quando dentro la coscienza ci proiettiamo in un futuro possibile, il passato serve da base e il presente è godibile. Se invece il futuro non esiste, tendiamo a chiuderci fino all’autismo e il presente diventa una successione insensata di istanti vuoti. Questo è il problema: stiamo allontanando i giovani dal futuro. Lo facciamo consapevolmente quando legiferiamo la loro estrema precarietà lavorativa o una severità scolastica senza antidoti, o una dipendenza economica, ipocritamente criticata. Lo facciamo inconsapevolmente quando spegniamo la gioia, i sogni, le utopie, che del futuro sono linfa. Togliendo ai giovani il futuro li releghiamo a oggetti consumistici o a contenitori di nozioni . Questo avviene principalmente a partire dal mondo della scuola, primo cerchio di società dopo la famiglia, che ha perso il ruolo di educatrice per tutti ed è diventata elite per alcuni, attenta solo a sanzionare ed espellere (in modo spesso violento psicologicamente) gli altri, che hanno il difetto di essere “inadatti” per il successo scolastico, quasi sempre unico gretto metro di misura del valore.

 

<< Torna su >>

 

Che responsabilità hanno gli adulti?

 

Gli adulti hanno la responsabilità di accompagnare i ragazzi nel migliore dei modi. Lo devono fare tenendo conto delle esigenze tipiche di ogni età. Solo soddisfacendo il bisogno prioritario di quella età il bambino potrà passare al bisogno successivo.

Nell’età 1-5 anni il bisogno prioritario è essere accuditi. Ogni trascuratezza fisica o psicologica in questa età, specie se accompagnata da maltrattamenti, può dare gravi conseguenze. Gli infanti sperimentano il futuro attraverso la sicurezza.

Nell’età 6-10 anni il bisogno principale è divertirsi sviluppando il proprio corpo. Tutte le attività ne devono tenere conto, senza soverchiare di regole e limitazioni l’ esplorazione spontanea. I bambini colgono il futuro nella gioia.

Nell’età 11-16 anni il ragazzo ha bisogno soprattutto di appartenere ad un gruppo. Il confronto e l’amicizia con i pari è fondamentale per sentirsi accolto. Il riconoscimento dentro il gruppo genera un duraturo senso di sicurezza e diventa tappa intermedia tra la famiglia e la società. Gli adolescenti accettano il futuro attraverso la condivisione.

Nell’età 17-20 anni il ragazzo impara a definire e difendere la propria identità, e il bisogno principale è di potersi confrontare nel rispetto, per sentirsi uguale agli altri ma unico, e di costruire un domani affidabile. Il giovane adulto possiede il futuro attraverso progetti a sua portata.

Ogniqualvolta queste tappe non avvengono con serenità, ma anzi sono accompagnate da traumi o solitudini, il ragazzo accumula malessere, perché perde il futuro, metro del tempo. Se incontra persone positive e ha buona forza interiore riesce a trasformare il malessere in risorse nuove e si rafforza. Se invece questo non avviene, il ragazzo può accumulare dolore fino a manifestarlo apertamente in atti negativi.

 

<< Torna su >>

 

Il malessere giovanile può diventare una risorsa?

 

I mass media son portati ad enfatizzare i comportamenti negativi dei giovani più che ad analizzarne il senso. Spesso tali comportamenti mascherano appunto un dolore autentico. Di non essere valorizzati. Di non sentirsi protetti. Di non potersi fidare. Di non essere ascoltati. Di non essere felici. Tale dolore può inizialmente esprimersi in disturbi fisici, svogliatezza, apatia e malumore, poi non trovando riscontri, può incattivirsi trasformandosi in rabbia e comportamenti impulsivi. Il disagio è pericoloso se si collega a: disistima, chiusura sociale, sensazione di “essere sbagliati e diversi”, pessimismo verso la risoluzione dei problemi, impotenza. In questo caso può spingere verso vie di fuga, tipo antisocialità o patologie, che a loro volta allontanano dal contesto.

Se invece il malessere viene considerato per quello che è, un sintomo spia, come la febbre che segnala la malattia sottostante, allora diventa utilissimo perché fa “vedere” quello che altrimenti non si percepirebbe Il malessere è una finestra. Indica alla società che alcune scelte sono sbagliate o mancanti.

 

<< Torna su >>

 

Quali sono i rimedi?

 

I rimedi dipendono soprattutto dal tipo di modalità distruttiva scelta dalle persone che manifestano un malessere.

Se la modalità è auto centrata, significa che il ragazzo ha rivolto contro se stesso tutta la carica di tensione accumulata, fino a sentirsi lui colpevole ed indegno. Gli occorre in questo caso il permesso di restituire all’esterno le responsabilità non sue, raccontarsi a persone di fiducia e sviluppare il senso critico. Deve in altre parole trovare amici fidati per difendere il confine di sé.

Se la modalità è etero centrata, significa che il ragazzo ha preferito rivolgere contro gli altri la carica di tensione derivata anche dai propri errori, fino a sentire tutto il mondo ostile. Gli occorre in questo caso imparare a riprendersi le responsabilità, accettando di abbandonare il facile narcisismo e l’onnipotenza, e saper trovare carezze e soddisfazioni facendo l’adulto. Deve in altre parole trovare figure genitoriali autorevoli per definire il confine di sé.

In ogni caso occorre avere coraggio per modificare qualcosa della quotidianità, dove si trova sempre una spina irritativa del disagio.

 

<< Torna su >>

 

Come prevenire?

 

Bisogna essere vigili e informati ai primi segnali di disagio che il giovane manda, anche se lo fa in modo nascosto e camuffato. Molti studenti apatici e svogliati manifestano così uno stato depressivo ma, anziché venir capiti e curati, vengono quasi sempre aggrediti e criticati da insegnanti e familiari, aggravando ancor più la depressione ed il senso di disvalore, a volte fino ad estreme conseguenze. Molti suicidi avvengono in concomitanza con cattivi risultati scolastici e con liti famigliari a fine anno scolastico. Bisogna sapere quali sono i segnali di allarme: apatia, svogliatezza, nervosismo, insicurezza e chiusura, o anche eccessivo impegno privo di svago, sforzo solitario, totale compiacenza. Con i giovani bisogna sempre andare oltre le apparenze e oltre i comportamenti, per chiedersi se quel giovane è felice e sta soddisfacendo i suoi bisogni veri. Di fronte al malessere o supposto tale non si deve mai forzare la disistima con critiche aspre, ma cercare insieme una strada per il superamento della tristezza.

 

<< Torna su >>

 

Conclusione

 

Possiamo riassumere i concetti in questi consigli:

 

  • Non spaventiamoci dei segnali di malessere, anche se nel giovane sono tristi e innaturali: segnalano un intoppo nella crescita, che richiede attenzione e comprensione.
  • Ogni ragazzo ha il suo malessere, legato ad una storia e sensibilità uniche, per cui i consigli generici portano quasi sempre fuori strada, mentre la conoscenza e l’empatia facilitano le soluzioni.
  • Non cerchiamo di reprimere le emozioni che riteniamo spiacevoli, siano esse rabbia, tristezza, paura o vergogna, ma prima mettiamo parole che le traducano.
  • Per gestire una grande difficoltà occorre forza, e la possiamo trovare solo accettando tutti gli aiuti possibili.
  • Se i comportamenti sembrano un fiume in piena, meglio attraversare il fiume insieme che lasciare l’altro solo: ci perderemmo entrambi.
  • Costruiamo immagini positive per inventare il cambiamento.
  • Trasmettiamo sempre e in ogni forma ai ragazzi la fantasia, che è il miglior antidoto della violenza.
  • Pensiamo prima all’essere che al fare perché solo piantando le radici l’albero darà buoni frutti.
  • Cogliamo i primi segnali di dolore, per non aggravarlo con violenze aggiuntive.
  • Il vero genitore sa aspettare e contenere, forte dell’amore reciproco anche se inespresso, e convinto delle doti del giovane anche se momentaneamente sopite.

 

<< Torna su >>

 

BIBLIOGRAFIA

 

  • Arieti S. Bemporad J. “La depressione grave e lieve” Feltrinelli 1981
  • Berne E. “Ciao, e poi?” Bompiani 1979
  • Binswanger L. “Malinconia e mania: studi fenomenologici” Boringhieri 1971
  • Genova V. “Eugène Minkowski e le figure del tempo tra normalità e patologia” www.tesionline.it
  • Ravaldi C.“Suicidio giovanile” www.psicoterapia.it
  • Levi G. Psichiatra, direttore dell'istituto di Neuropsichiatria Infantile Università degli Studi di Roma "La Sapienza "Ricerca sul suicidio giovanile” www.bullismo.com
  • Baudelot C. Establet R. “Suicide: l’envers de nostre monde” Paris Le Seuil 1999
  • La depressione nei giovani www.portalegiovanimugello.it

 

<< Torna su >>