i 2 volti della follia

 

immagine bambini contesi

 

 

La follia è buona o cattiva?

 

Che la follia venga percepita sotto due aspetti, uno buono utile, e uno cattivo lesivo, è cosa antica. I pensatori greci vedevano nella follia un modo di avvicinarsi all’estasi in una dimensione fuori del tempo; prova ne era il mito di Dioniso, che rendeva ebbri e felici gli uomini. Erasmo da Rotterdam, nel suo libro “Elogio della follia” dell’inizio ‘500, dice che ci sono due forme di follia: una che allieta gli umani liberando l’anima dall’ansia, e l’altra che scaturisce dagli inferi suscitando crudeltà e vendetta.

Anche dalla esperienza con le persone sofferenti, si vede come spesso la follia aiuti a sollevarsi oltre le dolorose disgrazie, per entrare in un mondo fantastico e infantile, dove esiste la possibilità di trasformare la realtà a proprio piacimento. Altre volte la follia spinge verso l’espulsione dal gruppo e interrompe i progetti di vita. Come comprendere questo doppio profilo?

 

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Quando la follia è buona?

 

La follia di per sé è un dono della nostra mente. Essa avviene in momenti di difficoltà, quando il sentiero si fa stretto e non si trovano energie o direzioni dove andare. Oppure quando la direzione c’è ma si verifica un impedimento improvviso che blocca il cammino. Allora si scatenano forti emozioni che fanno percepire enorme la situazione e sovrastano la logica del pensiero. La follia è un fatto essenzialmente emotivo. La persona, preda di tale turbinio, entra in una dimensione irrazionale, dove le forme suscitano altre emozioni a catena, e le ombre diventano mostri. Il mondo irrazionale spinge a trovare comunque legami di sicurezza, significati ed elabora i sintomi, che sono un modo di comunicare. La depressione, l’ansia, il blocco motorio, la catatonia, le bizzarrie delle psicosi, sono comunque un linguaggio.

 

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Che linguaggio usa la follia?

 

Il linguaggio della follia è simbolico perché è un ponte fra realtà esterna e realtà interna. Questo linguaggio è straordinario perché in esso si intrecciano indissolubilmente le difficoltà reali da cui la follia è partita e i simboli che la mente inventa per trasferire su immagini l’angoscia e quindi gestirla meglio.

Nella depressione la difficoltà è la perdita, e il simbolo diventa il corpo stanco pesante. Tale simbolo ci rimanda al fatto che la depressione ha a che fare con la vita e con la morte delle cose, di cui il corpo è il primo rappresentante. Nelle fobie e ossessioni la difficoltà è la crescita e i simboli sono gli oggetti fobici, apparentemente inusuali. Essi significano che il disagio viene da fuori, dal mondo di cui l’ oggetto è rappresentante. Nelle psicosi il simbolo è un racconto ( deliri e allucinazioni) perchè la difficoltà deriva proprio dalla storia, di quell’individuo. Nei disturbi psicosomatici il simbolo è un organo: il cuore con le aritmie, la testa con la cefalea, lo stomaco con la gastrite ecc. ad indicare che quell’organo rappresenta una funzione in difficoltà.

 

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A cosa ci serve la follia?

 

La follia ci aiuta a non perderci del tutto. Se c’è una grande difficoltà, dentro la follia conserviamo i nostri segreti bisogni, la nostra individualità, la nostra voglia di rivalsa e di sopravvivenza. E’ sempre salvifica. Ma qualche volta tale positività diventa davvero una salvezza, altre volte no.

Diventa una salvezza quando il bagaglio di bisogni ed emozioni serve a migliorare le cose. Per far questo è indispensabile che la persona trovi uno spazio di ascolto e di accoglimento della sua follia. Se le persone intorno a lei sono sensibili comprendono che il linguaggio del disagio mentale è irrazionale perché la persona in difficoltà diventa infantile, regredisce. Bion diceva che il bambino non sa quali sono i suoi bisogni, semplicemente piange e si agita. Ci vuole la madre, l’altro accudente, a tradurre il pianto nelle varie necessità. Questo può fare anche un adulto verso l’altro in difficoltà, con la sensibilità e l’immedesimazione.

 

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Quando la follia è cattiva?

 

La follia è cattiva quando i bisogni ed emozioni che racchiude non portano a miglioramenti, ma vengono ulteriormente repressi e annullati. La follia diventa allora una gabbia. In essa la possibilità estrema viene schiacciata e l’individuo può trovarsi davvero impotente e vinto. Tale brutta situazione deriva da più fattori fra cui il modo di esprimersi e la risposta dell’ambiente. E’ chiaro che se gli altri sono sordi possono annullare qualunque linguaggio di aiuto.

Ma il fattore più importante è un altro. Esso risiede nella emotività, che appunto è il regno della follia. Nell’emotività si può insinuare un sentimento pericoloso. L’odio. L’odio è il risvolto negativo della aggressività, che di per sé è positiva. L’aggressività vuole aprirsi un varco per imporsi. L’odio invece vuole distruggere, ferire, vendicarsi. Nell’odio non c’è posto per altro. L’odio ha fretta perché vuole risolvere subito il dolore tagliando un rapporto. L’odio è un sentimento pericoloso. Se si insinua in una persona con disturbo psichico, quindi molto emotiva, confusa e angosciata, può produrre le più dolorose conseguenze, fino a gesti di violenza, persecuzioni, stalking, suicidio.

 

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Conclusione

 

Possiamo riassumere i concetti in questi consigli:

 

  • Cerchiamo di vivere la follia nostra ed altrui come un linguaggio cifrato che cerca ascolto.
  • Interpretiamo la follia come l’inversione di un cammino, non più diretto verso la realtà esterna, ma verso il mondo interiore.
  • Facciamo di ogni disagio una nuova opportunità di cambiamento.
  • Conserviamo sempre, anche nei momenti di follia, la speranza e l’umanità.
  • Stiamo attenti all’odio e non coltiviamolo mai, perché da lui deriva la distruttività dei normali e dei folli.
  • Impariamo a trasformarlo in energia di cambiamento quando siamo sani e tranquilli, per saperlo gestire quando ci trovassimo più confusi.
  • La ricetta per contrastare l’odio è la pazienza di stare nel dolore e un sano individualismo.
  • Non confondiamo l’odio con una vitale aggressività che ci permette di reagire.
  • La follia deriva spesso dalla ingiustizia e dalla impotenza: curiamo il ricupero dei diritti.

 

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BIBLIOGRAFIA

 

  • Erasmo da Rotterdam “Elogio della pazzia” traduzione D’Anna, TEN Roma 2002
  • Galimberti U. “Paesaggi dell’anima” Mondadori 2001
  • Merini E. “L’altra verità: diario di una diversa” Rizzoli 2006
  • Storr A. “L’aggressività nell’uomo” De Donato Bari 1968
  • Santagostino P. “Guarire con una fiaba” Feltrinelli Milano 2006

 

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